Prima di cominciare intendo fare alcune precisazioni.
La prima è di tipo terminologico
“Hamas” non è la “Palestina”. “Israele” non coincide con il “Governo di Benjamin Netanyahu”. Gli “Ebrei” sono un popolo. “Antisemitismo” e “Sionismo” sono due facce di una stessa (terrificante) medaglia, due mali che si nutrono a vicenda in una spirale che ha portato alla Shoah da una parte e che da oltre 70 anni ha fatto vittime da una parte e dall’altra. La “Palestina” è un territorio che ha attraversato, come quasi tutti i territori, mille vicissitudini, dominazioni, rivolte. Con il termine “Palestina” farò riferimento, senza la pretesa di conoscere tutti i fatti occorsi nel frattempo, a quello Stato i cui confini sono stati definiti, in modo decisamente discutibile, nel 1948. In riferimento alla situazione attuale ho scelto di utilizzare la parola “occupazione” o “invasione” e non “genocidio”.
La seconda riguarda la pertinenza di un argomento politico su un blog di un consulente comunicazione e marketing
Mi sono posto la domanda: cosa posso dire io che altri non dicono? Quali sono le motivazioni profonde che mi spingono a trattare un argomento tanto difficile, doloroso e, da un certo punto di vista, distante dalle mie attività principali?
Anzitutto per un tema di priorità. Tutte quelle cose meravigliose che viviamo (eventi, talk, corsi di formazione, mostre, installazioni, simposi, master universitari, vacanze e progetti di sostenibilità) le possiamo vivere perché ci sono dei presupposti di base: pace, diritti, istruzione, stato sociale, libertà di informazione, servizi garantiti e democrazia. Senza questi tutto il resto non esiste. In questi mesi di escalation la minaccia è palpabile: il problema non riguarda solo gli equilibri tra due popoli in Medio Oriente ma tutti noi, anche nelle nostre tiepide, in questi giorni di estate in città sarebbe meglio dire arroventate, case.
In secondo luogo per sensibilità. Al di là delle fredde ragioni di Stato le guerre sono la più grande sconfitta sul piano umano, civile, ambientale. Un disastro che miete vittime civili, ci abbassa ai livelli più bassi di esistenza (nessun essere vivente a parte l’essere umano inventa torture o sottopone l’avversario a sadiche vendette). In particolare poi, rispetto al conflitto Israelo-Palestinese, ebbi modo, nel lontano 2004, di seguire un corso monografico di cinema a Lille e di documentarmi presso un centro di Roubaix raccogliendo diversi film e reportage di registi israeliani e palestinesi. Avrebbe dovuto essere l’oggetto della mia tesi di laurea. Poi cambiai argomento, sospinto da altri interessi, ma di fondo ho sempre nutrito grandi preoccupazioni in merito e mi pare di avvertire il dolore di questi popoli che vivono in un terra che tutti chiamano Santa ma che pare invece essere maledetta.
Infine il motivo più semplice
Sulla prima pagina di “La Repubblica” del 14 Luglio 2024 alla morte di 90 persone è stato riservato un trafiletto, costretto a giocarsi lo spazio con Taylor Swift e risultati di Wimbledon. Se i media tradizionali e le testate mainstream non se ne preoccupano o informano in modo parziale, tocca a noi cercare di farlo. Nel “noi” ci metterei tutte le cittadine e tutti i cittadini, e, a fortiori, coloro che hanno la fortuna (o la sciagura) di svolgere lavori di tipo cognitivo o intellettuale, coloro che di professione operano nell’ambito della comunicazione, dello spettacolo, della cultura, del marketing e della politica.
I fatti dal 7 ottobre a oggi
Le premesse sono state lunghissime, lo so, e arrivando fino a qui hai in realtà svalicato la parte più complessa. Porre le domande, lasciandole aperte, chiarendo i significati, comprendendo che nulla è definibile in modo perentorio è forse la parte più difficile quando vogliamo cercare di interpretare la realtà.
Dai drammatici fatti del 7 Ottobre a oggi abbiamo assistito a una recrudescenza del conflitto. Hamas ha attaccato con ferocia inedita Israele provocando la morte di circa 1.300 persone tra civili e soldati. Sono inoltre stati documentati numerosi atti di tortura e abusi. Attualmente si stima che Hamas abbia ancora in ostaggio 120 persone israeliane, ma non è dato a sapere quante di loro siano vive. Nel frattempo il Governo Israeliano ha accelerato il processo di occupazione, in particolare nella Striscia di Gaza, un territorio già poverissimo e con una densità di 5500 abitanti per km2, che conta 2 milioni di abitanti di cui 1.200.000 rifugiati Palestinesi. Definita da molti come il più grande campo di concentramento del mondo, la Striscia dal 2006 è stata di fatto governata da Hamas.
In questi mesi le persone palestinesi uccise sono circa 40.000, di cui circa 15.000 bambini. Solo nei primi 100 giorni erano stati ammazzati 10.000 bambini, alcuni da cecchini che spararono mirandoli volontariamente in volto. Il numero di feriti e mutilati è incerto così come il numero di orfani e persone sole. Se si considerano le morti indirette (dovute all’assenza di medicina, chirurgia, assistenza per patologie croniche, ad anziani, disabili e malati oncologici) si stimano oltre 186.000 decessi (8% della popolazione di Gaza). Non si contato i casi di stupro e maltrattamenti. Il quadro è aggravato inoltre dall’impossibilità di ricevere cure.
Una tragedia senza fine
Che la situazione sia di una drammaticità senza precedenti è oramai sotto gli occhi di tutti. La richiesta di un mandato d’arresto da parte del procuratore capo della Corte Penale Internazionale e la presentazione del report “Anatomy of a Genocide” al Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU non impediscono che Netanyahu venga ospitato e acclamato al congresso americano.
Seguo diversi canali, tra cui Al Jazeera e Middel East Eye che quotidianamente pubblicano video inquietanti: mutilazioni, gente fatta sbranare dei cani dell’esercito israeliano, distruzione volontaria di apparecchiature mediche con soldati israeliani che ghignano soddisfatti, macerie e cadaveri ovunque, bombardamenti su ospedali, campetti da calcio dove giocano ragazzini, barchette di pescatori che cercano cibo, bambini morti di denutrizione, altri che raccolgono resti umani per pulire le strade. La lista degli orrori è lunga e pare senza fine.*
Il ruolo di chi comunica
Come anticipavo, siamo noi a dover esplorare, analizzare, discutere, approfondire lo scenario appena delineato. Non possiamo lasciare che questa sfida venga raccolta da una manciata di personaggi pubblici rapidamente bersagliati da censura e attacchi politici.
Ghali, Dargen D’Amico, Enzo Iacchetti sono solo alcune delle personalità che si sono distinte impegnandosi nel portare all’attenzione dell’opinione pubblica questa tragedia, per aver proposto una prospettiva differente. Non sono i soli: online è possibile trovare anche una lista a cui diversi artisti hanno deciso di schierarsi (https://artistsforpalestine-italia.org/).
Manca però qualcosa. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, a una grande mobilitazione di massa, compatta, “senza se e senza ma”, come ad esempio in seguito al terremoto in Emilia, dove si è visto un forte senso di solidarietà, qui troviamo un silenzio complice. Siamo tutti responsabili quando non prendiamo tempo e coraggio, quando taciamo di fronte a certi orrori per mero opportunismo. E siamo noi, proprio noi che possiamo permetterci di passare qualche momento della nostra vita su Linkedin per cercare lavoro, aggiornarci e festeggiare compleanni lavorativi, ad avere una responsabilità più grande perché contribuiamo poco o tanto, al dibattito sui molti temi.
Credo sia arrivato il tempo di esporci con un po’ più di coraggio.
Due pesi, due misure: non tutte le vite hanno lo stesso valore
Non siamo più credibili: gli stessi atti che verrebbero condannati se perpetrati da alcuni, vengono taciuti, quando non sostenuti, se compiuti da altri. Lo stesso numero di morti per bombardamenti su Ospedali in Ucraina o in Palestina prende un diverso spazio e un diverso giudizio sui nostri giornali. Un bambino morto di fianco a casa nostra fa più notizia di 16000 bambini massacrati a 3 ore di aereo da noi.
Dal Sud del Mondo ci viene richiesta equanimità, non un doppio standard. È nostro dovere osservarla e mostrarla, essere coerenti o semplicemente agire da umani. Dobbiamo condannare azioni militari ingiustificabili e smetterla di tacciare di “antisemitismo” chiunque ponga la questione in termini di costruzione di pace.
Occorre riconoscere la sofferenza degli uni e degli altri, dimenticare un passato troppo pesante per tutte le parti coinvolte, di odio inveterato, attentati e assassini per ripartire, da ora, a costruire nuove relazioni. Io non so, non ho le competenze né la pretesa di sapere se sia più percorribile la creazione di “Due popoli, due Stati” o di un unico Stato di civile convivenza. Non so se sia necessaria la mediazione dell’ONU o aprire una tavola rotonda con esperti. Quello che è certo è che non possiamo fingere che questo conflitto non ci riguardi e che non stia compromettendo ulteriormente lo stato di salute delle nostre già fragili democrazie.
Vogliamo la pace o la guerra?
Proprio l’altro giorno il generale capo dell’esercito britannico Sir Roly Walker ha dichiarato, con una terribile leggerezza, di prepararci a una imminente guerra mondiale.
Abbiamo idea di cosa sia una Guerra Mondiale? Mi pare una pessima idea.
Perché invece non prepararci alla Pace mondiale?
Per farlo occorre impegno, ascolto reciproco, costanza, fatica come per tutto ciò che è importante nelle nostre vite, che sia un matrimonio, un successo lavorativo o la pancia piatta.
Bisogna scegliere, e scegliere adesso, e chiedere a gran voce il cessate il fuoco.
*Ho deciso di non pubblicare immagini o video che mostrano questi orrori solo per evitare una pornografia del dolore. Sono molto combattuto tuttavia: poche fotografie sarebbero più efficaci di mille parole. Chi desidera può facilmente trovarle online o contattarmi per avere link. Le fonti che ho trovato riportano talvolta numeri leggermente diversi ma che di fatto non cambiano