Nella settimana della commemorazione dei defunti, mi trovo a riflettere su un fenomeno che accompagna la morte contemporanea. Quando la nostra vita è legata e mediata dal mondo digitale, cosa accade ai nostri dati, ai nostri profili e alle nostre identità online dopo di noi? E come cambia la percezione della morte, dell’assenza fisica, quando le nostre memorie continuano a raccogliere like e commenti?
Con il supporto di tecnologie sempre più avanzate, temi come l’elaborazione del lutto, il rapporto con la morte e la fantomatica vita eterna si estendono dal mondo reale a quello online, con risvolti tanto affascinanti quanto inquietanti. Stimolato dalle riflessioni di Davide Sisto, tanatologo ed esperto di digitale, ho voluto tentare una piccola esplorazione di questi fenomeni, interrogandomi sui risvolti etici sul rapporto tra fine vita e tecnologia.
Il lutto passa dai social
Facebook e Instagram non solo rappresentano la nostra vita digitale, ma sono diventati inevitabilmente anche spazi di commemorazione. Se qualcuno si stupiva già qualche anno or sono di tombe provviste di video su schermi LED oggi abbiamo ben altri spunti su cui arrovellarci. Un esempio ci è dato dal caso di una madre che, venuta in possesso delle password del figlio defunto, ha continuato a postare sui sui social mantenendo vivo il suo ricordo e il contatto con coloro che lo conoscevano, fino a quando Facebook non glielo ha vietato.
Facebook ha introdotto già da tempo la funzione di “profili commemorativi”, in cui, dopo la morte di un utente, il suo account può essere gestito da un erede digitale designato. Questo tipo di profilo consente a familiari e amici di lasciare messaggi e condividere ricordi. Altre piattaforme, come Instagram e Twitter, stanno progressivamente introducendo simili funzionalità per gestire i profili delle persone scomparse.
Anche dopo la morte, la presenza online e le interazioni di una persona possono continuare attraverso il suo profilo se questo rimane attivo. Questo sfida le nozioni tradizionali di un aldilà possibile solo attraverso mezzi religiosi o spirituali. Tuttavia, un aldilà digitale solleva anche questioni riguardanti l’identità e l’autenticità. Il profilo di una persona deceduta non è più sotto il suo controllo e rischia di diventare un simulacro distaccato dalle esperienze vissute e non necessariamente in linea con il volere di chi è venuto a mancare.
Resurrezioni artificiali
Uno dei risvolti più perturbanti di questa rivoluzione digitale legata alla morte è rappresentato dai cosiddetti “Thanabots”, bot progettati per emulare il modo di esprimersi e pensare di una persona defunta. Attraverso l’utilizzo di dati raccolti durante la vita del soggetto, come messaggi, e-mail e post, sono in grado di continuare una conversazione, offrendo ai familiari un’interazione quasi realistica con la persona scomparsa.
In questo caso è il figlio che, prima della morte del padre, ha registrato numerose interviste con lui per creare un bot che gli permettesse di “dialogare” insieme anche dopo la sua dipartita.
Questi bot non solo mantengono la memoria dei defunti ma creano l’illusione di una continuità esistenziale, il che solleva importanti questioni etiche. È legittimo, ma soprattutto, è bene reificare in tal modo il ricordo di chi non è più con noi? Non c’è il rischio di creare una dipendenza psicologica, di alterare il processo di accettazione del lutto?
Anche Alexa ha valicato i confini della morte, sviluppando la capacità di imitare voci in pochi minuti di conversazione registrata. Questa funzionalità ha scatenato non poche polemiche per i risvolti emotivi e morali: cosa significa avere la voce di un caro scomparso che ci parla attraverso una macchina? Cosa accade nella mente di un bambino che può avere l’impressione di dialogare con il nonno passato a miglior vita?
Incontri impossibili in realtà virtuale
In Corea del Sud, il progetto “I met YOU” ha gettato ancora più in là le frontiere tra vita e morte, sfruttando la realtà virtuale per ricreare un incontro impossibile: una madre che “riabbraccia” la figlia scomparsa. Questo esperimento, documentato in un programma televisivo, ha catturato l’attenzione globale per la sua carica affettiva e per le implicazioni tecnologiche. Utilizzando visori VR e guanti aptici, la madre è stata in grado di vedere, toccare e interagire con una replica della figlia, realizzata attraverso la scansione di immagini e video della bambina, integrati con intelligenza artificiale per rendere il tutto il più realistico possibile.
L’esperienza ha anche generato un intenso dibattito sul piano etico e psicologico. C’è chi vede in questa tecnologia un’opportunità per dare conforto e chi invece teme che si tratti di una spettacolarizzazione, profittevole, della sofferenza umana. Il progetto pone anche interrogativi profondi sul nostro rapporto con la memoria, il dolore e l’idea stessa di “addio”.
Celebrità davvero immortali
Continuando la disamina su morte ed evoluzione digitale arriviamo al “foreverism”, fenomeno che illustra il modo in cui la tecnologia viene utilizzata per sfidare i limiti della mortalità nell’intrattenimento. Attraverso l’uso di ologrammi e deepfake, artisti del passato sono infatti tornati ad esibirsi sui palcoscenici di tutto il mondo, offrendo esperienze uniche e nostalgiche ai fan.
È giusto riproporre l’immagine e la voce di performer defunti senza il loro consenso esplicito? E come mai migliaia di persone si raccolgono davanti a un palco ben sapendo che il loro cantante non potrà presentarsi? Queste pratiche rischiano di ridurre l’individualità degli artisti a semplici prodotti. Il Foreverism non è solo nostalgia, ma un’operazione commerciale che sfrutta le potenzialità tecnologiche per prolungare artificialmente la fama e l’influenza di figure iconiche, trasformandole in esperienze immersive e in lucrativi spettacoli postumi.
Online Death Manager
Questi esempi di interazione morte-digitale mi portano a considerare l’avvento nel prossimo futuro di nuovi servizi e di nuove figure professionali. Infatti, come esistono professionisti che si occupano di curare l’immagine online di aziende e persone, potrebbero diventare necessari anche addetti alla gestione dei contenuti digitali dopo la nostra dipartita.
Si tratterà forse di un servizio integrato delle agenzie funebri o forse ci saranno società specializzate ma quello che mi preme è osservare come niente oggi possa rimanere fuori dal discorso tecnologico, neanche dopo di noi.
I risvolti etici della morte digitale
Se la vita fisica necessita di cura e attenzione, lo stesso vale per la nostra vita digitale, e di conseguenza anche la nostra morte. Le tracce digitali dei defunti continuano a vivere indefinitamente online attraverso foto, post, email e altri dati archiviati. Questo sfida le nozioni tradizionali di morte come conclusione e richiede nuovi approcci all’eredità digitale, alla memoria e all’identità e soprattutto ancora più consapevolezza nell’uso delle tecnologie.
La cultura digitale sta trasformando le relazioni con la morte in modi complessi, con opportunità e rischi che richiedono una riflessione profonda e che non può accontentarsi di risposte indignate o di superficiali bocciature.
Si tratta di temi vastissimi e molto delicati che propongo oggi affinché questa giornata possa non solo commemorare chi abbiamo amato ma anche ricordarci di essere consci delle mutazioni in atto nell’iperstoria.