Basta poco per riscoprirci fragili. Un incidente di percorso nella propria carriera, una separazione, un problema di salute possono mettere in discussione le nostre stolide certezze.
Nelle ultime settimane sono stato costretto, come si suol dire, a rallentare. Nulla di grave ma tanto è bastato per interrompere il flusso ininterrotto di e-mail, riunioni, notifiche, videocall, revisione di piani editoriali, corsi di formazione e impegni di ogni genere.
Di solito a un’introduzione di questo tipo dovrebbe seguire una sezione con consigli utili per migliorare la propria vita, ma non è questo il caso. Per cui chi si attende qualche idea illuminante da mettere in pratica da subito può interrompere la lettura e fare altro. Non voglio deludere le aspettative. Alla fine tiro due considerazioni ma non è quello il punto.
Scrivo perché vorrei condividere delle mie riflessioni, qualche forma di “pensiero debole”.
Problemi invisibili
Sarà capitato anche a te. Incroci un amico per strada, due chiacchiere. “Sei sempre in forma, hai un nuovo taglio di capelli, come va il lavoro, ho appena cominciato un master a Milano, faccio su e giù, a casa tutto bene grazie.” Apparentemente una conversazione normale ma, se si va appena oltre le cose, non stanno proprio così.
In tasca un tavor per gli attacchi di panico, il lavoro è troppo e non ha tempo per continuare il corso di recitazione, deve fare degli accertamenti perché ha dei valori fuori norma, i genitori si fanno anziani ma è difficile trovare un badante, si sente sempre stanco ma prende integratori e poi comunque adesso andrà da uno bravo che gli hanno consigliato.
Malesseri invisibili, difficili da raccontare e spiegare, temi che richiedono attenzione e ascolto, ma siamo di corsa. Scusa ti chiamo dopo.
In questi ultimi decenni si è iniziato a parlare di stress, burnout, fragilità, resilienza, antifragilità, yoga, meditazione e di qualche dozzina di nuove tecniche di rilassamento ma non stiamo meglio di prima. Anzi.
Come riportato da diverse ricerche (trovi link di approfondimento in fondo all’articolo) si può parlare di una vera e propria epidemia, silente ma non meno grave di altre. L’uso di ansiolitici, sedativi, sonniferi e antidepressivi è in costante aumento in Italia come in Europa e negli Stati Uniti.
Burnout produttivo tra tecnologie e farmaci
In un mondo tecnologico in cui “only an expert can deal with the problem”, ogni sfida deve avere una soluzione ingegneristica in nome dell’efficienza. Credo che proprio questo aspetto rappresenti un grave limite.
Non si può affrontare tutto come un problema da risolvere in assenza di una riflessione sul contesto. Che senso ha parlare di benessere senza mettere in discussione i modelli di mercato, gli stili di vita, le ragioni alla base del disagio? Al momento in pochi stanno ponendo la questione su altri livelli e i Governi sembrano più preoccupati del proprio benessere che di quello dei cittadini, più della potenza delle loro economie che della felicità delle persone e questo con un gran dispiegamento di forze e sostenendo un certo tipo di consumi. Strumenti potentissimi sono messi in azione ogni giorno per farci restare produttivi.
Mi pare di ricordare che già sulla scorta del pensiero di Habermas fossero stati realizzati studi in cui si mettevano in relazione gli oroscopi sui quotidiani e la loro funzione in una società capitalista. Se appare alquanto bizzarro trovare, a fianco delle notizie di politica interna e di fatti di cronaca, il parere di Marte sulle tue azioni di oggi, lo diventa molto meno se si analizzano i tipi di messaggi che normalmente veicolano gli oracoli che, leggendo le stelle, incitano a dare il meglio di sé, a tenere duro, a lavorare assiduamente. Nulla di nuovo quindi ma ora si può fare di più, grazie ad algoritmi sviluppati ad hoc.
Oggi le armi di distrazione di massa si sono evolute: radio e tv certo, ma anche videogame, serie tv e ovviamente social network, tarati su misura per noi. Non solo per venderci qualcosa, ma per farci spegnere la mente, perché domani qualunque cosa accada dovremo essere sorridenti e performanti.
E dove non arriva l’ingegneria informatica arriva quella sociale, psicologica e farmaceutica. Divertimento preconfezionato, droghe di ogni genere, alcool, tabagismo nelle sue forme più variegate, psicofarmaci. Anche attività sane, come la pratica sportiva, viene ingegnerizzata con additivi e pratiche orientate alla performance. D’altronde il problema deve essere risolto, che si tratti di ridurre il tessuto adiposo o di mostrare muscoli da esibire su Onlyfans, esaltare i soldati in battaglia o rendere più concentrati i bambini a scuola.
L’incoscienza di robot e soggetti
La biopolitica diventa sempre più corpo modificandolo con la tecnologia. Da Agamben ad Harari sono tanti gli autori che, in un modo o nell’altro, ci mettono in guardia rispetto alla trasformazione antropologica di Homo Sapiens, specie in un mondo “incosciente” in cui manca una direzione chiara e, ahimè ancora peggio, quando questa sembra determinata unicamente da logiche di profitto.
Molecole e algoritmi possono essere utilizzati con finalità molto diverse anche rispetto a quelle previste dagli stessi ricercatori e sviluppatori e trasformarci davvero in robot. Può sembrare un termine inappropriato o una metafora banale ma non nell’interpretazione di Massimo Chiriatti che, in un libro consigliassimo, “Incoscienza artificiale”, ci spiega come il termine derivi da una parola slava, robota, che significa appunto “schiavo”. Mentre la schiavitù fisica uccide, quella cognitiva permette di sopravvivere ma ci porta oltre, in un continuo stato di performance di soggetti in competizione.
Foucault ci ricorda il soggetto, è sub-jectus, letteralmente il sottomesso. Nella sua analisi il soggetto è colui che interiorizza le pratiche del potere, di un potere evoluto che si de-individualizza individualizzandosi in corpi in carne e ossa, in esseri pensanti, progettati per essere funzionali al mantenimento del potere stesso e oggi più che mai controllabili, manipolabili e soprattutto prevedibili. Un processo non privo di costi spesso più alti di quello che alcuni teorici ipotizzavano. Ansia, depressione e burnout, ad esempio, incidono nella spesa sanitaria ogni anno di più, senza considerarne gli aspetti umani. Ma non è sempre così semplice assoggettare miliardi di perone.
Il monolite forse inizia a mostrare qualche crepa, timidi segnali di ribellione.
Great resignation e Quiet quitting potrebbero non essere un fenomeno transitorio post-pandemico risolvibile con un po’ di smartworking e settimana breve ma rapprensentare i primi elementi di cedimento di un sistema disumano, tritatutto per il quale un po’ di benzodiazepine, qualche app per imparare a respirare, metaverso e bonus psicologo potrebbero non bastare. I moti di protesta nel mondo stanno aumentando, anche con forme violente. La generazione Z rifiuta di sacrificare la propria esistenza in nome della carriera, ma questo vale solo per quella piccola parte di mondo che si può permettere di scegliere il presente e fare progetti a lungo termine e non vedo all’orizzonte proposte applicabili su larga scala.
Ma quale che sia il nostro futuro e quali che siano le condizioni esterne, come ricorda Franco Battiato in Stati di gioia, “i nemici è sicuro sono dentro di noi”. Possiamo annullare tutto il rumore esterno, con improbabili caschi isolanti come quello brevettato da Hugo Gernsback negli anni ’20 o moderne cuffie isolanti, ma a poco servirà se non ritroviamo un silenzio interiore. Le nostre convinzioni profonde e i nostri schemi mentali rappresentano il più grande ostacolo al mito della felicità e dell’auto-realizzazione ed è da lì che dobbiamo cominciare per attuare un cambiamento anche senza la pretesa di arrivare a un risultato definitivo e immutabile.
Meditazione contro il burnout
In una società psicotica possiamo creare piccole isole protette, a partire dalle nostre relazioni sul lavoro, in famiglia, far pace con la nostra mente e il nostro corpo. Sebbene non creda a soluzioni standard penso che occorra allenare la mente con pratiche quotidiane, forme di pensiero lento ma soprattutto chiaro. Tornare alla lettura e allo studio e, per fuggire dall’Era della Distrazione, la meditazione può essere davvero di grande aiuto. Tornare a meditare significa darci tempo e spazio prima che le cose perdano di significato, prima di trovarci compressi tra agende e ritmi che non rispettano i fabbisogni biologici, emotivi, fisici e relazionali. Non si tratta di risollevarci un po’, di rilassarci e lasciarci alle spalle i pensieri.
In un testo buddhista, il “Manuel des héros ordinaires”, il Lama Jigmé Rinpoché, spiega che nella meditazione, contrariamente a quel che potremmo pensare, non si tratta di rallentare le cose ma di chiarirle.
Pensieri puliti in una mente attenta ma rilassata ci aiutano ad accettare i nostri limiti, saper dire di no, capire dove nascono le nostre emozioni per non restarne sopraffatti. Ricordarci che siamo umani e che stiamo parlando con esseri umani, chiedere sinceramente al nostro interlocutore come sta, rispettare le debolezze e i dubbi: ecco cosa può fare la differenza.
Si tratta di caratteristiche che nessuna macchina ha. Se vogliamo delle risposte possiamo anche chiedere a Chat GPT, ma se vogliamo domande nuove, visioni, condivisione di esperienze, emozioni, prendiamoci tempo e qualità nelle relazioni che contano.
Nel caso sono qui.
Link per approfondire:
https://siep.it/rapporto-osmed-luso-degli-psicofarmaci-in-italia/
https://www.infodata.ilsole24ore.com/2022/08/18/il-7-degli-italiani-nel-2021-ha-assunto-antidepressivi-prima-puntata-luca/
https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/sanita/2018/05/25/in-un-anno-cresciuto-dell8-luso-dei-farmaci-contro-ansia_f172cc7d-8d75-4b3e-a5ad-07f9e1a5894c.html
https://www.vanillamagazine.it/the-isolator-il-bizzarro-casco-per-evitare-le-distrazioni-del-1925-1/