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Fake News: perché ci piace la menzogna

Fake News: perché ci piace la menzogna
#Idee

Un breve articolo per lanciare una provocazione in difesa delle fake news.

Ho sempre più l’impressione che la ricerca della verità (qualsiasi cosa si intenda con questa parola tanto facile da pronunciare e tanto difficile da definire) non sia una priorità nelle nostre vite.

Non tanto come Italiani o Europei o Americani o Russi o Brasiliani, ma proprio in quanto specie mi sembra che ci si affanni molto di più nel cercare un senso in quello che facciamo, nel districarci dalla complessità del mondo tenendoci stretti ad alcune certezze, non importa di quale natura. 

Di una storia pare quasi più importante il mantenimento della coerenza formale interna rispetto all’aderenza di questa alla realtà. Nulla di particolarmente nuovo fin qui. Sono molti i filosofi e gli studiosi che prima di me avevano constatato tale inclinazione nell’essere umano e non pochi comandanti, tiranni e preti di ogni confessione (chiamateli come vi pare, su questi aspetti non credo che le differenze tra un imam e un rabbino siano tali da giustificare una qualche distinzione sul piano lessicale) ne hanno approfittato per conservare privilegi e poteri.

La mappa non è il territorio

Ora, come ogni riflessione che intende far luce su un fenomeno quasi genetico, il rischio di semplificare la realtà a vantaggio di una narrazione tautologica, appiattendo ogni differenza (un po’ come si fa con una cartina geografica in cui le montagne non godono di alcuna vista sulla pianura), è dietro l’angolo.

Tuttavia non credo di essere io ad appiattire la realtà, ma il mondo dell’informazione “istituzionale”.

Guardiamoci attorno. 

Mi racconti una favola?

Oggigiorno i dibattiti elettorali sono diventati così ridicoli, autoreferenziali e privi di qualsivoglia attinenza alle minime regole della logica che nessuno li segue veramente. La politica è talmente distante dai cittadini che ormai non ci prendiamo più nemmeno la briga di andare a fare una X da analfabeti sopra qualche disegnino su un pezzo di carta, chiusi da tende impolverate e paratie di legno in vecchie scuole scalcinate. Perché dovremmo farlo?

Eppure la narrazione della democrazia procede allegramente tra sceneggiate, colpi di scena, boutade e mazzette. Un bel film a cui proprio evidentemente non vogliamo rinunciare.

Le cose esistono se se ne parla

Oppure le discussioni in merito alla partecipazione alla guerra in Ucraina, una situazione complessa e storicamente iniziata ben prima del 2022 di cui non si accettano argomentazioni in chiaroscuro, al punto da mettere a tacere il Papa, che da grande protagonista di ogni TG in Italia tre volte al giorno, viene confinato in servizi d’obbligo. Dall’imbarazzo generale di fronte alle posizioni del Pontefice contro il riarmo, definito “una follia”, al silenzio quasi totale rispetto agli ultimi interventi in Africa contro discriminazioni e depauperamento dell’ambiente per arricchire imprese private, sono tanti gli esempi in cui, se non di censura, potremmo almeno parlare di disinteresse nei suoi confronti. Molto meglio avere un eroe senza macchia e senza paura (noi Europei ovviamente insieme allo Zio Sam) e un cattivo pazzo (l’amico Vladimir del Cavaliere e di tanti altri che oggi nascondono mance e regalìe).

D’altronde anche Harari ci ricorda come uno dei metodi utilizzati per spiegarci il mondo consista proprio nel rimpiazzare l’ostica materia geopolitica con storielle semplici alla portata di tutti, che non richiedano particolari sforzi cognitivi, conoscenze pregresse e messa in discussione dello status quo.

Ma tra il Putin cattivo e il buon Biden, un Papa che non si allinea con uno o con l’altro dove lo mettiamo? Più facile farlo sparire.

Disinformazione sistemica

Quindi il tema a mio avviso non è tanto proteggerci dalle fake news, che tra l’altro se non sei imbecille nove volte su dieci si riconoscono all’istante (sebbene sarà sempre più difficile con tutto l’armamentario tecnologico per produrre deep fake), ma le News con la “N” maiuscola. Il problema non è rappresentato da qualcosa di malato in un sistema sano ma da un organismo totalmente malato, allo stadio terminale, ormai necrotizzato. Non sto parlando solo delle redazioni ridotte all’osso, della dipendenza totale dagli inserzionisti e dalle dinamiche caratteristiche del newsmaking. Credo che davvero occorra una riflessione radicale.

Da dove cominciare? Chi può attivarsi per “guarire” questo corpo malato? Chi dovrebbe mettersi in prima linea?

Così, a occhio, potremmo essere tentati di investire di tale responsabilità i giornalisti stessi, ma la maggior parte di questi sono operai sottopagati, a contratto, che temono la concorrenza di tirocinanti e di ChatGPT, che leggono stancamente le veline dell’ANSA o che si attaccano all’ultimo scandaletto per riempire una colonna, ingranaggi anch’essi di un meccanismo che fagocita ogni tentativo di ridare dignità alla professione. Non si alzano dalla scrivania, non indagano, non capiscono nemmeno quello che raccontano. Alcuni di loro hanno anche problemi con la lingua italiana. Non tutti, chiaramente, ma buona parte della categoria, in buona o in cattiva fede, non offre un buon servizio.

Dis-informa. E la disinformazione è l’humus ideale per le bufale.

In tanti credono alle fake news perché nella realtà non c’è un limite all’idiozia umana

Ecco perché intendo difendere le fake news. Non in quanto tali, non perché buone, non perché sane. Ma perché senza un contesto il cattivo appare molto cattivo e il buono molto buono.

Un po’ come parlare del Covid, di Guerre Stellari o delle Brigate Rosse senza capirne contorni, sfumature, ragioni storiche, corresponsabilità, interessi condivisi, geografie semantiche, ruoli, effetti a breve e lungo termine, gradi di parentela, intrecci.

Viviamo situazioni talmente complesse, surreali e distopiche da renderci difficile credere o no a qualcosa, discerne accadimenti rilevanti e opinioni autorevoli dal mugugno di massa, dalle im-probabili fesserie complottiste e dalle opinioni di sedicenti esperti privi di dignità.

La post-verità è il limite estremo e paradossale della società dell’informazione? Rappresenta lo stadio finale di un’epoca illuminista i cui bagliori accecanti ci hanno condotto attraverso rivoluzioni e guerre in nome di princìpi ormai vetusti? O possiamo ancora fare qualcosa? Non trovo risposte convincenti in merito ma credo che prima di preoccuparci delle fake news dovremmo pensare alla qualità del sistema informativo nel suo complesso. E soprattutto creare un mondo un filo più giusto e ragionevole, in cui verità e menzogna siano facilmente distinguibili.

La verità è bella ma la Fake news seduce

Se è vero che ci piacciono le menzogne e che anche il sistema informativo ufficiale e istituzionale mente, omette, distorce a piacimento i fatti per fini propagandistici, commerciali o di presidio del potere, allora perché prendersela con le fake news? Prendiamocela con chi è responsabile di informarci correttamente e soprattutto con noi stessi, creduloni ignoranti.

Dopo tutto quello che è successo nella storia dell’umanità crediamo ancora al primo che passa, alla nenia consolante dei talk televisivi, all’immondizia informativa sui social, al politico che ha carisma. Non sono che narrazioni, che ci piacciono finché fanno comodo.

Non mi attendo al momento che algoritmi di società profit si preoccupino di qualità della vita, benessere delle persone, degli animali e dell’ambiente, di equità sociale e non ritengo nemmeno auspicabile la censura preventiva. Credo che davvero, per quanto possiamo impegnarci sia impossibile, nel “villaggio globale” di Marshall McLuhan, riuscire a comprendere ciò che accade. Cosa possiamo realisticamente sapere della manutenzione di un ponte, dei prodotti finanziari evoluti, di come dovremmo riorganizzare il sistema sanitario pubblico sfinito, delle lotte dei lavoratori in Cina, di come gestire i flussi migratori o dei progetti espansionistici della Russia, di come ridurre l’inquinamento delle falde acquifere o migliorare la vita nelle periferie delle città? Troppo complicato. Euristiche e bias cognitive hanno la meglio. Il cervello rettiliano prevale soprattutto in un mondo in cui è più rilevante la velocità di risposta che la sua esattezza.

Continuiamo a ritenerci molto più intelligenti di quello che non siamo, ma la realtà è che spesso siamo molto stupidi (e spesso quelli più stupidi credono anche di sapere cosa devono fare gli altri).

Ciò che mi piacerebbe è che ci svegliassimo un po’ più umili e un po’ meno fanatici oppure che almeno ammettessimo candidamente che, in fondo, il fake ci piace.

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