In questo polpettone di Capodanno racconto cosa mi è rimasto nella mia dispensa di parole, che non è la più assortita, né la più ricca ma che è mia nel senso che davvero non può essere di altri. Scrivo per tentare di capire, sul finire di un altro giro di giostra, quanto di autentico c’è stato in questi mesi e poi, chissà, per qualcuno che potrebbe trovarci qualcosa per sé.
Cucinare non è il mio forte, nonostante una discendenza di ottime rézdore e un padre che imparò a sopperire alla mancanza di queste quando vennero meno. Le parole invece le preparo tutti i giorni. Le scelgo, me ne prendo cura, a volte meglio a volte peggio. A volte escono disordinate e con errori, altre risplendono almeno per un istante e mi lascio ispirare dal loro bagliore. Le accolgo, le ascolto, ne avverto il potere. Le sparo in aria come fuochi d’artificio. Bum. Ne raccolgo i frantumi. A volte sono rumorose, a volte cristalline, scendono come pioggerella, avvolgono come nebbia fredda e pungente. Altre ancora sono sottili e si leggono in trasparenza, alcune scaldano come i raggi del sole in primavera. E poi ci sono parole che scendono in profondità, che diventano corpo, stelle, foglie: le parole del silenzio. Sono quelle fatte di spazio e di presenza, quelle che restano dopo tutto, nonostante tutto, quelle che sono sempre lì. E di queste vi voglio parlare.
Il 2023 è stato intenso
Non so se dire se nella mia vita abbia mai vissuto tanti apici e abissi in così poco tempo o se questa valutazione è solo frutto di un errore di prospettiva perché ve ne sono ancora immerso. Ho studiato e sperimentato come un forsennato. Non sono stato bene, sono stato benissimo. Ho pensato che alcune situazioni fossero giunte al termine e invece quei riflessi non erano tramonti ma aurore. Sono rimasto deluso da alcune persone, ne avverto ancora le ferite, mentre altre hanno manifestato qualità rare, tenerezza, ascolto, accoglienza, intelligenza. Sono molto grato a tutte loro. Ci sono stati turbamenti, desideri inquieti, momenti di pace assoluta e felicità sbarazzina.
Mi sono ritrovato in club berlinesi con outfit improbabili, su barelle al pronto soccorso sentendomi fragile e spaventato, ad aprire uno studio a Bologna, a viaggiare sicuro e da solo in auto esplorando il centro della Francia per giungere a un centro buddista ad ascoltare gli insegnamenti di importanti maestri tibetani. Ho trovato nuovi compagni di viaggio per cui provo profondo affetto e mi sono congedato da altri con cui evidentemente non c’era più altro da dirci.
C’è stato caldo, c’è stato freddo. Ha piovuto molto, non ha piovuto per giorni. Sono passati libri e film, spettacoli di danza, tasse, aperture di nuovi uffici, onde, concerti. Madonna a Milano. Il Festival Aperto, quello della Filosofia. Qualche funerale. Ho pianto tante volte. Sono successe cose terribili, cose fantastiche. Ho urlato di gioia sorpreso da paesaggi di montagna. Ho partecipato a eventi di design e di marketing. Mi sono occupato del mio rebranding e di quello di miei clienti. Sto ristrutturando casa. Ho tenuto qualche centinaio di ore di corsi di formazione.
Mi sono iscritto a un Master meraviglioso in Contemplative Studies presso l’Università di Psicologia a Padova, che ho il privilegio poter frequentare. Con amici, collaboratori e clienti ho vissuto davvero mille esperienze. Ciò che è certo è che vi sono state situazioni che mi hanno obbligato a fermarmi e a rivedere abitudini, stili di vita. Il modo di risuonare con il mondo.
Già, il mondo
Ci sono guerre ovunque. La gente non sa guidare. I prezzi sono alle stelle. Pandori e pesche hanno fatto parlare più dei morti in mare e in guerra. Le auto a guida autonoma tardano a venire mentre cervelli che funzionano da automi ce ne sono ovunque. I mercati vanno su e vanno giù. Non so se occorra mettere la “ə”, e tra metaverso e fediverso mi sono perso.
In questo caos ho abbandonato alcune strade per tentare di intraprenderne altre che portano a quote diverse a respirare aria più pura, letteralmente, facendo qualche passeggiata in montagne abitate da passerotti e vento, da castagni e probabilmente folletti, ma anche riservando spazi di quiete nella mia casa di città.
Ho preso l’abitudine di un piccolo gesto quotidiano
Alla mattina riempio una ciotola di acqua, la osservo. È incredibile: ogni giorno è diversa (non la ciotola, che è sempre la stessa, ma l’acqua e la luce che la illumina). Ci metto dentro i miei auspici, le emozioni di quel momento, la riconoscenza per un’altra opportunità di vita. Se riesco pratico qualche minuto poi comincio tra riunioni, mail e tutto il resto. La sera, prima di andare a letto, come ultima cosa, svuoto quella ciotola, lascio andare via, che l’acqua scorra. È un bell’esercizio, ve lo consiglio.
Nel polpettone manca sempre qualche ingrediente, ma è pur sempre una ricetta di ripiego, dal sapore incerto e non bisogna farsi troppe aspettative. L’impasto direi che è pronto. Non resta che metterlo a cuocere, a fuoco lento, prendendosene cura, ringraziando per questo piatto, anche per quella punta acre, non cercata ma che alla fine dà sapore. Starò attento a non bruciarlo, a controllare di tanto di tanto fino a quando avrà fatto una crosticina. Ne farò un po’ di più sperando possa sfamare qualcuno che potrebbe averne bisogno.
Buon 2024