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Intelligenza artificiale: quali opportunità?

Intelligenza artificiale: quali opportunità?
#Idee #Eventi

Possiamo affermare con certezza che l’intelligenza artificiale sia l’occasione del secolo? Come impatterà nel futuro? Davvero il suo potenziale creativo supererà quello di persone in carne e ossa? Le IA ci permettono di capire meglio la natura umana? Com’è possibile regolamentare gli ambiti applicativi di una tecnologia così inserita all’interno della nostra privata e lavorativa?

Venerdì 14 ottobre Club Digitale – Unindustria ha organizzato presso il Tecnopolo di Reggio Emilia un evento in cui si è cercato di rispondere a queste domande su intelligenza artificiale e rapporto con l’innovazione.

Il gruppo di Unindustria promuove e costituisce un luogo di incontro per le imprese dedicato al confronto riguardo ai temi più attuali della Digital transformation. A quest’evento in particolare gli interventi dei relatori hanno riguardato l’intelligenza artificiale. Luciano Floridi, Stefano Quintarelli e Marta Bertolaso hanno offerto spunti apportando contributi di valore nella riflessione-tema dell’iniziativa: può l’AI rappresentare l’occasione del secolo?

Stefano Quintarelli: dati condivisi, garanzie e regolamentazioni

Stefano Quintarelli, imprenditore informatico e Deputato nel nostro Parlamento dal 2013 al 2018, è noto a tutti. A lui si deve la proposta, l’ideazione e lo sviluppo di due tecnologie che fanno parte della nostra quotidianità: lo SPID (sistema pubblico di identità digitale) e l’app IO.

La sua riflessione parte dall’osservare che la grande mole di dati che produciamo ogni giorno e che costituiscono la base per lo sviluppo delle IA sta subendo una prima trasformazione. Nei processi di implementazione di questa tecnologia è la qualità del dato, più che la quantità, a fare la differenza, anche se al momento molte realtà non sono pronte in tal senso. Saper gestire in modo corretto i dati rappresenta per le imprese un modo per arrivare pronte a future evoluzioni tecniche. “Il dato di cui non so cosa farmene oggi può essere il mio strumento più utile domani”. 

Quintarelli ha inoltre evidenziato l’importanza dell’interconnessione tra realtà appartenenti a una stessa filiera per poter ottimizzare e rafforzare la qualità dei dati attraverso la loro condivisione. In questi termini realtà aziendali che utilizzano nuove tecnologie come Blockchain e NFTs per facilitare le relazioni delle supply chain possono risultare la chiave anche per il potenziamento delle IA aziendali. Si tratta di temi che già mi capita di affrontare grazie alla collaborazione con Surge. In un prossimo futuro immagino possano svilupparsi, sulla stregua delle sperimentazioni già in atto per alcune industry, dei veri e propri distretti industriali digitali in cui reti di aziende condividono dati e analisi per potenziare l’intera catena di approvvigionamento, produzione e distribuzione. 

Parlare di IA e dati condivisi rende necessario riflettere anche sui concetti di garanzia e sicurezza. Quintarelli offre come esempio proprio lo SPID e la scelta di renderlo un sistema federato che coinvolge lo Stato e realtà private, diventando così controllori reciproci in materia dei dati dei cittadini. A mio avviso questa scelta di porre società esterne come Identity provider, se da un lato garantisce la sicurezza nei confronti dei cambi di governo, può comunque aprire a altri rischi che è necessario prendere in esame. Certo è che il diritto attuale fondato sulla tripartizione dei poteri, appare insufficiente nell’offrire soluzioni di governance adeguate alle tecnologie contemporanee e alle sfide che portano inevitabilmente con la loro implementazione.

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Sempre in merito all’Intelligenza Artificiale, Quintarelli osserva come sia importante ragionare sui confini etici di questa tecnologia. Chi intende approfondire può leggersi questo articolo apparso sul BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 3/2019, in cui vengono stilati princìpi, obblighi, diritti e raccomandazioni riguardo la gestione di una tecnologia sempre più presente nella nostra vita di tutti i giorni. Quintarelli è tra i firmatari del manifesto transatlantico contro le minacce dell’IA, redatto insieme ad altri 17 studiosi di tutto il mondo e presentato il 22 ottobre scorso a Roma, in cui si invitano Europa e Stati Uniti a prendere in considerazione le indicazioni offerte “perché, se da un lato l’innovazione tecnologia può rappresentare un motore di crescita economica e sociale, dall’altro può veicolare danni e conseguenze negative per tutta la società”.

Secondo Quintarelli l’IA non è l’occasione del secolo, ma non utilizzarla significherebbe commettere un errore. Ha ricordato come vi sia la tendenza a sovrastimare gli effetti a breve termine e a sottostimare quelli sul lungo periodo. Questo vale per le nostre scelte individuali, nel modo in cui facciamo fronte ai cambiamenti e anche per quanto concerne la percezione dello sviluppo tecnologico. Il rischio reale è che potremmo svegliarci troppo tardi chiedendoci perché non siamo intervenuti prima per regolare il nostro rapporto con l’intelligenza artificiale. 

In tal senso mi pare facciano eco le parole di Massimo Chiriatti in “Incoscienza Artificiale” quando paragona l’algoritmo a un nuovo alchimista.

“Gli algoritmi analizzano le relazioni nei dati – non i valori o il significato che rappresentano. Perciò l’algoritmo non “predice” e non “pensa”, ma si limita a costruire modelli seguendo le nostre orme. […] l’algoritmo è un meccanismo produttivo che usa i nostri dati come materia prima: scova le correlazioni ed estrae le regole. L’IA è quindi una creatrice di regole, seguendo le quali costruisce una sua rappresentazione del mondo. Ma lo fa in modo irresponsabile.”

Luciano Floridi: occasioni che vanno capite

Filosofo, è professore ordinario all’Oxford Internet Institute dell’Università di Oxford e presso il dipartimento di Sociologia della comunicazione dell’Università di Bologna. Il 12 ottobre scorso è stato insignito per decreto del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, del titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito” della Repubblica Italiana, la più alta e prestigiosa onorificenza italiana per coloro che si sono particolarmente distinti nei campi della letteratura, delle arti, dell’economia, del servizio pubblico e delle attività sociali, filantropiche e umanitarie.

Di lui avevo già parlato in questo articolo, quando lo incontrai per la prima volta al Wired Next Fest a Firenze e, nei miei corsi, faccio spesso riferimento ad alcuni suoi concetti. Si tratta di un autore che stimo molto.

Il ragionamento di Floridi parte da una domanda: cos’è l’intelligenza?

Chiedendo a dieci persone diverse probabilmente otterremmo dieci definizioni differenti, tutte corrette ed errate a modo loro. Anche in letteratura scientifica esistono centinaia di definizioni di questo stesso concetto perché di intelligenza se ne può parlare solo al plurale. Ci sono varie classificazioni in base alla tipologia e natura di questa facoltà. per quanto concerne l’intelligenza per così dire, naturale, biologica, organica si parla dunque di intelligenza emotiva, funzionale, matematica, creativa, musicale, etc.

E quando parliamo di intelligenza artificiale cosa intendiamo?

Giungendo a parlare di artificialità legata al concetto di intelligenza si possono identificare due principali tradizioni: una di tipo ingegneristico e l’altra legata alle scienze cognitive. Da un lato abbiamo una scienza che studia l’intelligenza per far si che risolva problemi specifici, dall’altra un tentativo di riprodurre una forma di intelletto umano nella sua intera complessità. Negli anni abbiamo raggiunto grandi traguardi nel campo del problem solving tramite IA, mentre a livello di intelligenze fluida e riproduttiva permangono enormi difficoltà (sarebbe infatti già un grosso risultato riuscire a riprodurre quella di un roditore). Se tuttavia fino a pochi anni fa il consiglio sarebbe stato quello di desistere dal tentativo di applicare l’intelligenza artificiale ad ambiti in cui occorre operare delle scelte non di tipo binario o logico, negli ultimi tempi qualcosa è cambiato. La potenza di calcolo, notevolmente aumentata in meno di un decennio e i dati acquisiti a livello mondiale aprono infatti a scenari inediti, anche in campo imprenditoriale.

Siamo ora di fronte al passaggio di paradigma tra un tipo di Intelligenza artificiale di tipo simbolico (secondo Se>Allora) a una di organico. La rete oggi può infatti contare sull’analisi di un’immensa quantità di dati prodotta dagli utenti del web per proporre previsioni, statistiche, testi, immagini, suoni e molto altro ancora. Lo stesso Floridi evidenzia come l’intera produzione umana, dall’origine della nostra specie fino al 2005, possa essere quantificata in circa 1 o 2 Zettabyte, mentre negli ultimi vent’anni sono stati prodotti dati nell’ordine dei 170 e con una crescita esponenziale (non a caso si parla di Zettabyte Era).

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Infografica DOMO 2022

A proposito di questa quantificazione, personalmente, nutro seri dubbi. Ho parlato spesso di questi argomenti ma un punto continua a sfuggirmi. Le informazioni non hanno solo un peso, ma anche uno spazio, un tempo, un potere diverso. Quanti MB farebbe la “Guernica”? O la stele di Rosetta? Non stiamo parlando di hard disk o di un router.

Brutalizzare il sapere umano riducendolo a una successione di 0 e 1, a mio avviso significherebbe ridurre la conoscenza alla sua codificazione digitale trascurando la profondità e il suo impatto nel tempo. Credo si debba aggiungere qualche considerazione per evitare scivoloni a mio avviso fuorvianti che potrebbero condurre a un uso un po’ approssimativo del termine “Zettabyte”. Sarebbe come pensare al Rinascimento in termini di metri quadri di affreschi. Possiamo dire certo che in quel periodo a Firenze sono stati dipinti più muri e volte di qualsiasi altro periodo storico ma sarebbe un po’ limitante fermarsi a questa osservazione.

È innegabile che dal punto di vista informativo, l’essere umano stia conoscendo una stagione mai vista precedentemente. Per fare questo però non è necessario scomodare il numero di parole scritte nei codici miniati da un abate del XI° secolo ma è sufficiente far riferimento all’informatica da Turing in poi. Oggi il numero di dati processati, la potenza di calcolo di sistemi informatici e delle reti cosiddette neurali, la qualità e possibilità di connessione tra utenti e device contraddistinguono un mondo in continua accelerazione e di intenso scambio di informazioni.

In uno scenario del genere l’IA, nelle due tradizioni ben descritte da Floridi, si sta evolvendo velocemente: abbiamo tutte le carte in regola, potenza di calcolo e quantità di dati, perché deep learning e machine learning possano attingere a database potenzialmente infiniti.

Tuttavia resto diffidente nei confronti del pensiero di un ente che non conosce o sperimenta la morte, che non ha un corpo, che non conosce il dolore, l’esperienza dell’esistenza (come mi pare abbia problematizzato Byung-chul Han): un’esasperazione del dualismo cartesiano in cui corpo e anima sono scisse per natura (artificiale), il “cogito” nella sua peggior forma. Ne deriverebbe che il bene, per una macchina, sarà un bene molto diverso da quello ritenuto tale da un essere umano. 

Ancora una volta Chiriatti, in un’intervista a Pandora rivista, riprendendo la descrizione dei nostri processi cognitivi secondo Daniel Kahneman, ricorda come al Sistema 1, che funziona automaticamente e rapidamente, e al Sistema 2 che invece svolge attività mentali più impegnative, che richiedono un approfondimento e sforzo cognitivo si sia aggiunto il Sistema 0, chiamato Iasima, che ci aiuta nel prendere decisioni. Iasima è l’intelligenza artificiale esterna al nostro corpo che osserva tutti i nostri atti: li cattura sotto forma di dati che elabora e filtra. Iasima “apprende” ma il termine “apprendimento” rischia di confonderci se pensiamo erroneamente che un mucchio di silicio e bit abbia le nostre stesse caratteristiche. Il Sistema 0 è solo una simulazione del ragionamento umano: le sue non sono “decisioni” vere e proprie.

Nessuno intende negare i benefici che informatica e automazione apportano all’umanità, ma non possiamo certo trascurare anche i possibili effetti nefasti di queste innovazioni, pena la riproposizione 2.0 di un pensiero neopositivista che ritengo abbia già fatto abbastanza danni. Sappiamo, per esperienza ormai tristemente consolidata, che ogni tecnologia è sfruttata quasi sempre e anzitutto per fini militari e poi commerciali, ben di rado a scopi umanitari. Quindi credo che qualche dubbio debba sorgere anche nelle menti più illuminate rispetto all’esaltazione dell’Intelligenza artificiale.

Lasciamo fare alle macchine quello che le macchine sanno fare bene. Archiviare, prevedere eventi pleromatici, forse anche parcheggiare un’automobile ma il creaturale, per utilizzare terminologia di Bateson lasciamolo all’essere umano.

Marta Bertolaso: riflessioni sulla dimensione umana

Marta Bertolaso è docente di Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Scienze e Tecnologie per l’Uomo e l’Ambiente e Responsabile della Unità di Ricerca di Filosofia della Scienze e dello Sviluppo Umano dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. Mi ha colpito da subito il suo approccio nel rispondere alla domanda dell’incontro. 

L’Intelligenza Artificiale è un’opportunità per cosa? Un’opportunità per chi? 

Non siamo macchine e nemmeno dati. Siamo noi a guidare le IA, costituendo un mezzo per esplorare nuove dimensioni indagando infinite correlazioni tra fattori diversi e lontani, ma poi ne subiamo le conseguenze.

Quanto le macchine stanno cambiando i nostri codici sociali?

La doppia spunta blu di Whatsapp rappresenta per esempio una novità nella comunicazione umana. Sappiamo che il ricevente ha letto il messaggio ma ancora non ci ha risposto. Si potrebbe obiettare che anche una raccomandata con ricevuta di ritorno sortisca lo stesso effetto, ma credo sia inutile evidenziare come il fattore tempo giochi un ruolo in tutto ciò,  tempo che è informativo. Rispondere dopo 5 minuti o dopo 5 giorni è un fatto comunicativo. 

Si chiede inoltre perché permanga un generale stato di ansia, per cui risulta necessario indagare e comprendere nuovamente l’umano che abita gli spazi digitali.

Da qui la proposta di un nuovo modello di impresa e di management. Una leadership generativa, non direttiva e non gerarchica (inefficiente in un contesto VUCA) capace di “tenere i bordi”, prendersi cura degli spazi semanticamente rilevanti all’interno di organizzazioni in un cui non conta la funzione specifica ma la relazione che si costruisce. Una leadership in grado di nutrire un ambiente sano, per uscire dalla paure (del capo, del licenziamento, della pandemia) che ci costringono in schiavitù e liberare il nostro potenziale, le nostra unicità per portare vera innovazione e benessere per sé e per la società. Questo risponde anche alle esigenze emerse nel dopo pandemia quali quiet quitting e great resignation.

Osserva inoltre come la possibilità di prendersi cura di sé, ricercando una propria dimensione anche attraverso il silenzio, sia un fattore essenzialmente umano. Infatti anche in una pausa, un momento di relax e distacco da tutto, l’essere umano sta continuando a ricevere costantemente informazioni, da sé, lo spazio che lo circonda, il proprio corpo e la propria interiorità. Per la macchina invece il silenzio equivale a non esistere, mancanza di input. Un silenzio in una sinfonia è significativo, può creare angoscia, preparare a un crescendo, a un esplosione, ingannarci. Per una macchina una pausa è nulla, solo una serie di zeri nel tempo, mancanza di segnale registrabile. Senza silenzio ci troviamo invece in un horror vacui informativo, che provoca sovraccarico ma non aumento dell’informazione, (motivo per cui da anni mi occupo di digital wellness e di digital detox design). 

“Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?” Così si interrogava Joseph Conrad, l’autore di “Cuore di Tenebra”, il romanzo che ispirò a Francis Ford Coppola il film Apocalipse Now. 

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Le pause sono tempo di qualità

Bertolaso ha ricordato come in greco antico l’idea tempo potesse essere espresso secondo due accezioni, Kronos il tempo degli Dei, del Dio che divora i suoi figli, quello eterno e per questo privo di senso, urgenza (quello delle macchine) e Kairòs, quello dell’uomo, il tempo finito, quello delle scelte, caratterizzato dalla capacità di cogliere le opportunità del momento, dalla consapevolezza della fine.

“Cerco l’uomo”, rispondeva il povero filosofo che fece scansare l’eroico Alessandro Magno perché gli faceva ombra. Ed è forse tempo, proprio interrogandoci sull’uso dell’intelligenza artificiale, di ritrovare prima un essere che si affranchi all’idea di performance funzionale, il cui valore è dato unicamente da quanto fa, produce, pensa e comunica. Prima di pensare a un futuro co-progettato dall’interazione uomo-macchina occorre forse cercare di evolverci consapevolmente per essere grado di guidare questa rivoluzione.

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