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Luciano Floridi al Wired Next Fest: iperstoria, infosfera, relazione.

Luciano Floridi al Wired Next Fest: iperstoria, infosfera, relazione.
#Idee #Eventi

Il filosofo Luciano Floridi al Wired Next Fest 2016 a Firenze (cui dedicherò prossimamente un post sull’evento), è intervenuto portando una tesi particolarmente interessante non solo per le conclusioni cui giunge e le proposte che avanza ma per l’impianto epistemologico di riferimento.

Non sono un filosofo e non ho la pretesa di aver colto pienamente ogni aspetto delle sue riflessioni, ma vorrei qui riportare, spero correttamente, alcune idee emerse sottolineando quelle che a mio avviso costituiscono la base per un approccio consapevole per chiunque parli di digitale.

Se volete qui trovate il video completo del suo speech (così potete anche confermare o meno se ho capito bene:-) 

Luciano Floridi, direttore di ricerca e professore di filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford, spiegandoci come siano stati rapidi i cambiamenti nel recente passato.

Luciano Floridi - Wired Next Fest - Firenze 2016

In pochi anni infatti la potenza e la diffusione dei pc è cresciuta esponenzialmente mentre i costi per l’acquisto di hardware e di connessione sono diminuiti. Ciò ha prodotto un’invasione di prodotti e servizi digitali.

Ogni secondo vengono prodotti 13 trilioni di transistor.

Oltre 50 miliardi di cose sono interconnesse e l’internet of things è divenuto in breve realtà.

Per questo possiamo dire senza dubbio che esistono più cose collegate tra loro che persone e da ciò ne deriva che la fonte di maggiore creazione e diffusione di informazione è tra macchine, non tra persone.

Ma allora cos’è internet?

Chi parla di Internet come di un mezzo, di qualcosa che distingue l’online dall’offline non ha capito il processo in atto. Ciò che si è creato è uno spazio nuovo, un altro ambiente in cui viviamo, in cui cambia il concetto e la percezione stessa di spazio e di tempo.

Ciò ha a che vedere con la nostra identità, il nostro esistere. Questo è ciò che è da pensare.

Se nella Preistoria non esistono tecnologie per tramandare e condividere il sapere (No Information and Communications Technologies), nella Storia grazie al linguaggio scritto possiamo registrare il presente a vantaggio di uno sviluppo futuro (papiri, pergamene, tavole e poi libri, etc).

Oggi che cambia è la relazione con le tecnologia nel suo passaggio supporto a necessità.

Noi dipendiamo totalmente dalle ICTS e questa relazione di necessità è proprio la caratteristica fondante di questo nuova era: l’Iperstoria.

“Those who live by the digit, may die by the digit.”

Troppo digitale può fare male così come lo zucchero o il caffè.

Cosa cambia quindi nella concezione del tempo?

Se l’uomo della preistoria quindi non possedeva il concetto di tempo (e direi anche quello di soggetto, sub-jectus foucaultiano), l’uomo nella storia diviene consapevole del suo prendere parte appunto alla storia stessa elaborando idee circa il tempo (lineare, circolare, finalistico, stocastico) e mettendo le basi per un’idea di evoluzione.

E oggi? Il tempo della storia ci ha per così dire ingurgitato. Siamo entrati dentro di questo creando una nuova spazialità (infosfera). Per dirlo con una metafora “Non siamo più seduti su una sedia. Siamo dentro la sedia.” In questa Infosfera abbiamo smesso di adattare le macchine alle nostre vite per iniziare ad adattare le nostre vite alle macchine trasformando il mondo a vantaggio di sistemi automatizzati (non esiste GPS senza satelliti) e non più, o non sempre, a noi, modificando radicalmente i dispositivi di creazione, verifica e controllo.

Luciano Floridi al Wired Next Fest porta l’esempio di una semplice lavastoviglie, un robottino semplice, è in grado di creare un mondo attorno a sé, abitudini che vanno a modificare il nostro stile di vita e le nostre relazioni (vi ricordate ad esempio quando ci si accordava con un ”io lavo, tu asciughi?”. Com’è cambiato?)

Un’altro esempio riguarda i primi computatori di calcolo. Nei primi computer infatti si entrava dentro una stanza che li conteneva, poi sono stati i pc ad entrare nelle nostre stanze e oggi viviamo in uno spazio digitale di cui ci accorgiamo solo quando manca una connessione. (Come Alice ci siamo rimpiccioliti per entrare in un mondo parallelo?)

Di questo nuovo universo, pluri-verso, siamo analfabeti.

Così come per ogni altra cosa abbiamo bisogno di creare una cultura che ci permetta di orientarci. Se abbiamo cibo dobbiamo avere una cultura del cibo, se siamo online dobbiamo avere una cultura dell’online. A proposito di questo terminologia piuttosto di parlare di on-line e off-line occorrerebbe parlare di on-life world, nella consapevolezza che il resto della storia dell’umanità sarà digitale (almeno fino a quando non vi saranno nuove scoperte oggi imponderabili se non nell’ambito della pura fantascienza e comunque non prevedibili).

Siamo di fronte ad una metamorfosi nel rapporto tra uomo e mondo e ciò rappresenta una quarta rivoluzione nella storia (questo passaggio per me è fondante di tutta un’altra serie di riflessioni che si ricollegano a Benveniste, De Saussure e Agamben).

Se con Copernico l’uomo perde la propria centralità nell’Universo, Darwin ci dice che non siamo più al centro della biosfera. All’uomo a quel punto non restava che l’identità, l’homo faber fortunae suae, l’essere senziente ma arriva Freud che rimescola di nuovo le carte e ci spiega che in realtà nemmeno sappiamo chi siamo, cosa vogliamo. A questo momento (e tralasciando ad esempio Einstein che con la teoria della relatività destabilizza fortemente il nostro modo di percepire, la crisi del positivismo, il Titanic, la crisi del ’29, due guerre mondiali, totalitarismi e altri orrori) non ci restava che la convinzione di essere al centro dell’azione e dell’informazione (parcheggiare un’auto, giocare a scacchi). Ma scopriamo che in realtà le macchine possono parcheggiare o giocare a scacchi meglio di noi, sanno imparare, adattarsi, svolgere compiti difficili.

Scopriamo dunque di non essere più nemmeno al centro dell’Infosfera.

Cosa ci resta allora?

La dignità.

Pico della Mirandola dice che non siamo né angeli né animali. Il nuovo modello umano (forse oltre-umano) fa delle relazioni il suo nuovo centro, un “antropoeccentrismo” in cui ci mettiamo fuori dalla centralità in quanto individui per lasciare al centro qualcos’altro: la relazione. Se due partner si tirano fuori dal centro cosa resta? L’amore. Se due amici si tirano fuori cosa resta? L’amicizia.

In questo processo possiamo quindi percepirci non come esseri evoluti e perfetti ma piuttosto come una “non fatal exception” della natura.

“We are special because we are Nature’s beautiful glitch.”

Siamo un bell’errore della natura, qui per ragioni casuali e strane o forse senza una ragione, siamo un’eccezione non-fatale nel sistema. La nostra identità dunque è identità di relazione, di connessione.

Ed ecco quindi che questa eccezionalità del rapporto con gli altri esseri umani ma anche con noi stessi e con l’ambiente, va difesa, tutelata, non per fare cause legali a chi mi fotografa per strada, ma perché intimamente connessa con la protezione della dignità della persona.

Questa visione deve essere l’ancoraggio per la legislazione sulla privacy, in quanto zero privacy significa deumanizzazione. (in epoca di big data il messaggio verso Roma e Bruxelles è chiaro). Zero privacy significa essere come una farfalla catturata e inchiodata per essere esibita. Difendere la privacy significa difendere la specie umana, la natura unica di un individuo, una dignità che sta proprio nel superamento di una visione ego-centrica a vantaggio di una visione ego-eccentrica in cui la relazione è fondamento e valore da proteggere, custodire e nutrire.

Luciano Floridi al Wired Next Fest ci invita a proteggere la dignità umana il significa, oltre a tutelarci con regole e leggi chiare, ripensare ad un’identità dalla centralità eccentrica, occupare il centro con le relazioni che ci caratterizzano.

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