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Pensare bene fa bene

Pensare bene fa bene
#Marketing #Idee

Sollecitato da una lezione illuminante del Prof. De Pisapia e da alcune letture, tra cui il libro di Goleman e Davidson “La meditazione come cura”, condivido qui alcuni stimoli diventati parte delle mie riflessioni quotidiane.

Negli ultimi mesi sono sempre più affascinato dal tema della consapevolezza. Non è certo un argomento fresco ma le novità nel campo della ricerca sono molte. Gli studi hanno iniziato a muoversi in ambiti nuovi, con strumentazioni sempre più sofisticate e anche (eureka!) una rinnovata curiosità verso tutti quei processi cognitivi e quelle esperienze di coscienza che si svolgono al di là della cosiddetta mente ordinaria.

Oltre a elementi onirici e di stati alterati dovuti a traumi o a sostanze psichedeliche, si inizia ad osservare anche cosa accade nella mente quando non stiamo facendo nulla, di come vagano i pensieri (mind wandering), dei cambiamenti in stato di meditazione e di altri fenomeni che fino a pochi anni fa erano esclusi, per diverse ragioni, dalla ricerca scientifica.

Una mano arriva dalle neuroscienze che in questo momento sono il motore che spinge la materia verso nuove prospettive.

Cosa c’entra tutto questo con il marketing?

Risposta breve: molto, moltissimo.

Acquisire consapevolezza su come funziona il nostro cervello, diventare consapevoli delle nostre emozioni, dei processi attivi a livello inconscio quando ci relazioniamo con gli altri, delle sinergie tra le varie funzioni, del modo di rielaborare i concetti, dei processi mnemonici e decisionali è importantissimo per chi ogni giorno deve coordinarsi con team di lavoro e trovare soluzioni valide per i mille problemi che possono sorgere.

Partiamo da una situazione comune: cosa accade nel nostro cervello quando ci sentiamo sotto pressione o minacciati?

nterpretazione visiva della consapevolezza dell'ansia e del sovraccarico mentale. Un uomo appare con un'espressione confusa e in movimento, con multiple sovrapposizioni del suo volto che catturano momenti di stress e turbamento, mentre tiene la testa tra le mani in un gesto che riflette la lotta interna

Un antenato in sala riunioni

In quei momenti le nostre capacità intellettive superiori vengono messe in stand-by per recuperare energie utili per difendersi o fuggire. Gli stessi meccanismi sfruttati per sopravvivere agli attacchi di fiere e serpenti possono rivelarsi inappropriati in contesti lavorativi.

Quando ci sentiamo in pericolo entra infatti in gioco il sistema limbico. Le amigdale prendono il comando sulla corteccia prefrontale, “sede” delle capacità cognitive superiori, comportando un’alta attivazione neurofisiologica. Sudiamo, il battito cardiaco e la pressione aumentano, i muscoli si tendono: siamo pronti alla battaglia a discapito della nostra facoltà di ragionamento.

Possiamo facilmente immaginare quanto sarà produttiva una riunione di lavoro vissuta in questo modo.

Brutte notizie anche rispetto a cosa accade quando questi comportamenti sono reiterati nel tempo. Come nel caso del multitasking la neuroplasiticità può giocare a nostro svantaggio. Questi meccanismi infatti si rafforzano con l’abitudine, diventando sempre più automatici. Il pattern che si consolida, non ci consente di scegliere di volta in volta se e come reagire.

Pensieri e consapevolezza

La buona notizia è che possiamo anche in questo caso invertire la rotta, con una riflessione e una pratica che portino a prendere coscienza di questi processi.

Oltre allo studio teorico è altrettanto importante fare esperienza diretta. Ci sono tecniche specifiche che ci aiutano a familiarizzare con i nostri schemi mentali a partire dalla mindfulness fino alla meditazione Vipassana. Sono centinaia gli approcci validati per i quali è stata riscontrata un’associazione positiva con lo sviluppo di prosocialità, comprensione profonda dell’altro, autostima e processi adattivi per affrontare eventi stressanti (coping e resilienza).

Il consiglio è quello di inserire all’interno della propria routine quotidiana momenti per accrescere queste capacità fondamentali lavorare in modo efficace, sereno e creativo. Oltre migliorare i processi di apprendimento e collaborazione, l’interesse dovrebbe essere posto in generale sul capire qualcosa in più di noi. È importante la costanza perché senza questa i risultati, benché positivi, risultano instabili e la regressione a comportamenti disfunzionali è dietro l’angolo.

Cercare l‘umano tra le macchine

Siamo sollecitati, in un momento in cui le tecnologie avanzano in campi fino a pochi giorni fa occupati solo dall’intelletto umano, a interessarci sempre più a quella “scintilla umana”, come la definisce Harari, che ci contraddistingue in quanto homo sapiens, focalizzandoci sullo sviluppare ciò che nessuna macchina, per ora almeno, pare aver acquisito, integrando una consapevolezza che contempli idee, corpo, emozioni, autocoscienza.

Sperimentare nuove abitudini e abbandonare risposte automatiche produrrà cambiamenti nella qualità delle nostre azioni a beneficio di noi stessi, dei nostri collaboratori e dei nostri clienti.

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